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Campi italiani di internamento PDF Stampa E-mail

- Non ci risulta esistere una qualche documentazione attendibile concernente i molti campi di concentramento impiantati dalle autorità politiche e militari fasciste nei territori ex coloniali. Sono noti solo alcuni casi di internamento e di deportazioni di popolazioni ostili all’occupazione militare da parte delle nostre truppe, durante il periodo delle azioni belliche di conquista e, successivamente, contro le popolazíoni civili nelle aree controllate dai ribelli.

LUOGHI DI INTERNAMENTO IN ITALIA e norme legislative

In merito al territorio nazionale, a tutt’oggi è ignoto il numero e la dislocazione dei campi di internamento e di concentramento fascisti, edificati prima e dopo l’inizìo della guerra di aggressione del 1940. Più ricca ma dispersa la documentazione locale sui singoli campi, in particolare di quelli di maggiori dimensioni e importanza.

Dal 1929, due anni dopo l’entrata in vigore delle leggi di Pubblica sicurezza, viene istituito presso le prefetture del regno un “servizio schedario”, con i nomi delle persone da arrestare perché,”sospetti in linea politica”.

Sulla base di questi elenchi furono, in tempi vari, operati arresti dei “sovversivi”, cioè dì persone “capaci di commettere azioni politiche criminose e di turbare l’ordine pubblico” imposto dalla dittatura. Con particolari norme sulle persone da internare o concentrare in appositi campi “allo scoppio della guerra”.

Un numero consistente è costituito dagli irredentisti slavi, considerati anti italiani, quindi molto pericolosi.

Ai sospetti in linea politica si aggiunsero gli italiani di razza ebraica. All’inizio dei 1940 le prefetture furono invitate a fornire gli elenchi completi degli ebrei italiani considerati pericolosi e da internare. Dal ministero degli Interni, Buffarini Guidi scrisse al capo della polizia Bocchini “il Duce desiderava che si preparassero campi di concentramento anche per gli ebrei in caso di guerra”.

Essendo internati soprattutto quelli “pericolosi”, i provvedimenti avrebbero dovuto colpire solo gli ebrei di cittadinanza nemica. Ma non fu così.

Dal “Censimento degli ebrei stranieri” del 1938, risultavano schedate 4.124 persone (di cui 2.303.tedeschi, 402 austriaci, 279 polacchi, 640 di stati diversi). Successivarnerite, tra l’inizio del 1939 e il maggio 1940, entrarono in Italia oltre 5000 profughi ebrei di altra nazionalità.

L’8 maggio 1940, a soli due giorni dall’entrata in guerra a fianco dei nazisti, con un’altra circolare (n.442/112267) vengono emanate “le prescrizioni per i campi di concentramento e le località di confine”.

Dopo l’occupazione della Jugoslavia nell’aprile 1941,”uomini, donne e bambini di ogni età (cittadini slavi o allogeni della Venezia Giulia) vennero deportati in massa per ridurre drasticamente l’appoggio popolare al movimento partigiano. Strappati ai loro affetti e alla loro base, essi subirono il sequestro dei loro beni e vennero sottoposti alla violenza preventiva e punitiva dello stato fascista.

Col procedere della guerra l’internamento interessò un numero sempre più alto di persone ed in alcuni campi la mortalità per fame e per stenti superò percentualmente quella che si ebbe nei lager nazisti non di sterminio” (“Storia contemporanea”- agosto 1941).

Telescritto in data 2 giugno 1942, dal Comandante la II Armata schierata in Jugoslavia, gen. Mario ROATTA: “In previsione future necessità Slovenia… giudico necessario che vengano predispostì nel Regno campi di concentramento per 20000 persone. Una parte capace complessivamente di 5.000 maschi adulti… Altra parte capace di 15.000 persone comprese donne e bambini, servirebbe per popolazioni da sgomberare da determinate zone a titolo precauzionale”.

Altro dispaccio Roatta dell’8 settembre 1942: “l’internamento può essere esteso a prescindere dalle condizioni militari, fino allo sgombro di intere regioni…e di sostituire il posto con popolazioni italiane”.

Primi campi di concentramento ad Arbe (Rab) – a cui ci riferiremo in seguito, sulla base di un preciso documento edito dall’Anpi di Torino -ed a Gonas in Venezia Giulia (per 14.000 persone). Nel luglio 1942, momento massimo della deportazíone, sono allestiti nuovi campi a Monigo (2.500 persone); a Chiesanuova di Padova (2.500, fra i quali 1.000 bambini); a Renici, Visco, Pietrifica, Tavernette, Brescia, Chieti, ecc. Molte le testimonianze che per ovvi motivi non possiamo citare (compreso un vecchio di 92 anni, bambini e partorienti). Il 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista e la “scomparsa” di parte dell’apparato squadrista e repressivo della dittatura, suscitò fra i reclusi politici e razziali molte speranze sulla loro rapida liberazione, il ché avvenne il 27 luglio per gli ebrei italiani e solo una parte dei reclusi politici, altri furono messi in libertà solo in un secondo tempo. Il 10 settembre 1943, il capo della polizia, Senise, diede disposizione per l’uscita dai campi anche dei sudditi degli stati nemici (questa misura fu poi revocata dalla Rsi il 4 novembre dello stesso anno, ma la grande maggioranza era già fuori). Nell’Italia meridionale i campi ancora aperti venivano chiusi in concomitanza con lo sviluppo delle azioni militari alleate. Nel Centro-Nord l’occupazione da parte delle truppe tedesche e la criminale complicità di alcuni comandanti di campi filo-nazisti, comportò la deportazione nei campi di eliminazione.

CRIMINI DI GUERRA E CAMPI DI STERMINIO NELLA JUGOSLAVIA OCCUPATA

Già abbiamo ricordato, sempre nel n.38 di “Appunti” alcuni elementi concernenti crimini di guerra, stragi e distruzioni commessi in Slovenia. Gli ordini precisi, dati direttamente da Mussolini; le Disposizioni dell’Alto Commissario Grazioli, le disumane direttive del fanatico fascista comandante della II^ Armata, generale Mario Roatta e dal comandante del’XI Armata, generale Mario Robotti, le cui forze sono dislocate in Slovenia e in parte del litorale adriatico. Successivamente, Roatta sarà sostituito dal generale Antonio Gambara. Il 6 aprile 1941 invasione nazista e fascista della Jugoslavia, con annessione all’Italia di parte dei territori della Slovenia e la capitale Lubiana, diventata dopo l’occupazione “Provincia di Lubiana”. Nel mese di giugno erano presenti 71.159 militari italiani. Le prime formazioni partigiane slovene iniziarono la loro azione nel luglio 1941, con effettivi molto limitati (vengono successivamente indicate in 8-10 mila).

Il primo tentativo di annientamento del movimento di liberazione jugoslavo, con un’azione congiunta italo-tedesca, viene realizzato nell’ottobre 1941. Esso termina con un totale fallimento, malgrado l’uso sistematico del terrorismo verso le popolazioni civili, le stragi e la distruzione, le rappresaglie feroci verso i partigiani e le loro famiglie (solo a Kragulevac, furono fucilate 2300 persone).

Con l’inasprimento della lotta, i nazifascisti tentano una seconda grande offensiva, con 36.000 uomini. Scarsi risultati, moltissime vittime. I partigiani riescono a sfuggire al tentativo di accerchiamento.

Terza grande offensiva dal 12 aprile al 15 giugno 1942, sotto la direzione del generale Roatta. Ancora una volta grandi perdite, stragi e distruzioni: non viene raggiunto l’obiettivo di annientamento.

Intensificazione delle azioni contro guerriglia in Slovenia da parte delle forze del XI^ Corpo d’Armata (quattro Divisioni italiane, con l’aggiunta dei fascisti sloveni della “Bela Garda” (Guardia Bianca). Sempre feroci le azioni di terrorismo contro i civili e la deportazione delle popolazioni di intere zone, senza distinzioni di sesso e di età.

Bilancio delle vittime slovene in 29 mesi di terrore fascista, nei 4.550 Km quadrati di questo territorio:

Ostaggi civili fucilati ………………………..….. n. 1.500
Fucilati sul posto…………………………………. n. 2.500
Deceduti per sevizie…………………………….. n. 84
Torturati e arsi vivi………………………. n. 103
Uomini, donne e bambini morti nei campi di concentramento…………………………. n. 7000
Totale ……………………………………… n. 13087

I criminali di guerra che ordinarono ed eseguirono questa carneficina non furono neppure differiti ad un tribunale del nostro paese. Non un solo processo.

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO NELL’ISOLA DI RAB (ARBE)

Con il diffondersi del movimento di liberazione, il Comando politico-militare fascista, incapace di distruggere le formazioni partigiane, si esercitò – come già detto – sulla popolazione civile.

Vennero creati diversi campi di concentramento: a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.

Il comandante della II Armata, Roatta, informa il comando del’XI Corpo d’Armata, il 7/7/1942: il comando superiore aveva predisposto a Rab un campo con 6.000 persone sotto le tende…oltre a questo campo, ne sarebbe stato preparato un altro per 10.000 persone.

Venne edificato il primo campo di concentramento definito n.1, successivamente entrarono in funzione i campi II, III, IV. Il Campo III è destinato a donne e bambini, esso era situato ai limiti di una puzzolente palude. Gli altri a ridosso di latrine che traboccavano in caso di forti temporali, allagando i campi.

A fine luglio 1942 avviene il primo trasporto di internati. La guardia armata dei campi dell’isola di Rab, viene inizialmente affidata a militari del V Corpo d’Armata, successivamente sostituiti da una guarnigione di 2.000 soldati e ufficiali, più 200 carabinieri.

Gli stessi detenuti sopravvissuti hanno riferito che la maggioranza dei soldati e di giovani ufficiali manifestavano una certa apatia non accanendosi sui prigionieri.

Nella primavera del 1943, si presentano i primi segni di sfacelo della guarnigione, si palesano volontà di avvicinamento verso i detenuti, malgrado la ferrea disciplina imposta dal comandante del campo, il tenente colonnello Vincenzo CIAULI, fanatico fascista, sadico, uso ad adoperare solo la frusta. Odiato anche dai soldati italiani.

In una relazione delle forze armate italiane sui trasporti militari, ritrovata nel campo dopo la liberazione, sono elencati tutti i singoli arrivi con il numero dei deportati. In totale essi risultano 9.537 persone (4.958 uomini, 1296 donne,1.039 bambini), più 1.027 ebrei (930 donne, 287 bambini); per un totale di 10.564. (sono esclusi quelli in transito verso altri campi, compresi quelli sul suolo italiano).

I deportati sono stipati in piccole, vecchie tende militari, scarsamente o per nulla impermeabili, su paglia già usata, con una leggera coperta: il tutto pieno di pidocchi e cimici.

Molti sono stati rastrellati mentre lavoravano nei campi in estate, sono semi nudi e nulla viene dato loro per coprirsi. Condizioni bestiali, in particolare per l’autunno e l’inverno: pioggia, neve, con la gelida bora imperversante. Le migliaia di detenuti dispongono di soli tre rubinetti per l’acqua, erogata tre ore al mattino e tre ore al pomeriggio. Nei casi di punizione l’acqua viene tolta.

Per la fame, il freddo, gli insetti, le malattie, la mortalità diventa elevatissima, in particolare per i bambini, le donne (alcune sono partorienti), vecchi (un internato ha 92 anni). Le possibilità di sopravvivenza concerne solamente i più robusti fisicamente e spiritualmente più resistenti.

E’ ignoto il numero dei deportati morti nel campo di concentramento di Rab. Si possono solo citare brani di una lettera, in data 15 dicembre 1942, dell’Alto Commissario, Grazioli: “… mi riferiscono che in questi giorni stanno ritornando degli internati dai campi di concentramento, specialmente da Rab. Il I medico provinciale… ha costatato che tutti senza eccezioni, mostrano sintomi del più grave deperimento e di esaurimento, e cioè: dimagramento patologico, completa scomparsa del tessuto grasso nella cavità degli occhi, pressione bassa, grave atrofia muscolare, gambe gonfie con accumulo di acqua, peggioramento della vista (retinite), incapacità di trattenere il cibo, vomito, diarree o grave stipsi, disturbi funzionali, auto intossicazione con febbre.” Il comandante di allora del’ XI corpo d’armata, il criminale di guerra Gastone Gambara, risponde scrivendo, tra l’altro di suo pugno: “è comprensibile e giusto che il campo di concentramento non sia un campo di ingrassamento. Una persona ammalata è una persona che ci lascia in pace”.

“Nelle vicinanze del campo esisteva un ambulatorio, così viene descritto. La casa aveva alcune camere e una cantina. Doveva servire per gli ammalati più gravi, tuttavia succedeva raramente che anche là venisse inviato qualche simile ammalato. Essendo il numero dei letti insignificanti, gli ammalati giacevano nei corridoi e persino in cantina, addirittura per terra. In cantina finivano di solito malati gravi che erano già sul punto di morte”.

A pochi mesi dalla liberazione, alcuni alberghi di Rab vennero trasformati in ospedale. I medici sono ritenuti “buoni ed umani… ma non potevano fare niente con una amministrazione incapace e corrotta”.

Nell’inizio dell’estate del 1943, si estende la convinzione di una prossima, generale disfatta del nazifascismo. Alcuni miglioramenti furono introdotti nei campi e negli ospedali di Rab… Con il 25 luglio 1943, e la fine della ventennale dittatura fascista, le prospettive nel campo non cambiano. Gli internati reagirono “spontaneamente e sorprendentemente: cantando”, prima canti popolari poi quelli partigiani; carabinieri e militari non reagirono.

Intanto si intensifica, fra chi è rimasto vivo, l’attività politica e la formazione di nuclei partigiani clandestini per la liberazione dei campi.

L’8 settembre 1943, di sera, “scoppiò improvvisamente un’ondata di entusiasmo nelle truppe di occupazione”. Guardie e carabinieri rimasero al loro posto; ciò malgrado, il 10 settembre venne organizzata dai gruppi clandestini un’assemblea dei detenuti, fu eletta una nuova amministrazione del campo, ammainata la bandiera italiana. I militari italiani sono disarmati e portati nel porto di Rab, arrestati il Ciauli ed una spia già nota. Si forma la brigata partigiana “Rab”; i giorni 15 e 16 settembre sbarco sul continente. Ciauli viene processato e condannato alla fucilazione.

Ps – Gran parte della documentazione sul campo di concentramento di Rab è stata ricavata dall’apposita indagine svolta dall’ANPI di Torino, sotto la presidenza di lsacco Nahoum (Milan).
“Nemo”

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA

Dal settembre/ottobre 1943 all’aprile 1945 i nazisti, in collaborazione con la polizia della Repubblica Sociale Italiana di Salò, hanno istituito e gestito, nell’Italia controllata da loro, tre campi di smistamento rispettivamente a Borgo San Dalmazo, Fossoli e Bolzano. Da questi campi gli italiani rastrellati ed arresti a vario titolo venivano poi avviati ai Lager veri e propri, disseminati in Europa.

Dopo l’occupazione nazista del 1943 i territori della Venezia Giulia vennero incorporati nell’Adriatisches Kustenland e fu creato a Trieste, nella Risiera di San Sabba, un vero e proprio campo di sterminio dotato di forno crematorio dove furono assassinate più di 5.000 persone.

LA RISIERA DI SAN SABBA ED ALTRI CAMPI ITALIANI…

Il 16 ottobre del 1943, con la complicità della polizia italiana, le truppe tedesche sequestrarono 1259 persone nel ghetto ebraico di Roma, di queste, poco più di 200 furono rilasciate perché non ebree o figli di matrimoni misti.

I restanti furono deportati ad Auschwitz, Birkenau: moltissimi di questi non superarono le selezioni e furono destinati alle camere a gas e in seguito ai forni crematori, solo 17 di loro sopravvissero.

Da quel momento, da quel giorno, la Repubblica di Salò o RSI (Repubblica Sociale Italiana) collaborava attivamente sul piano organizzativo ed ideologico, al programma nazista di sterminio sistematico degli ebrei, meglio noto come “soluzione finale” indetta da Hitler attorno al 1942.

In effetti, furono creati campi di concentramento anche nel nostro paese, cioè in Italia. Il primo campo di concentramento venne collocato a Pisticci (Macerata). Secondo alcuni dati dell’epoca furono una quarantina i campi di concentramento veri e propri distribuiti in vari parti d’Italia, inizialmente al sud e al centro – sud, poi con l’avanzare delle truppe alleate, al centro – nord.

I reclusi al 30 settembre 1942 risultavano 11735.

E’ noto per il centro- sud il campo di concentramento per ebrei di Ferramonte – Tarsia, costruito in zona paludosa e malarica. Vi sono numerose opere circa le condizioni di internamento e di salute, le variazioni nel tempo del numero dei detenuti. Rileviamo solo che al momento della sua liberazione da parte degli Alleati, nell’agosto 1943, erano presenti 2016 persone ( 1604 ebrei e 412 non ebrei. ) Altri campi erano collocati nelle regioni: Abruzzo, Molise, Marche. Umbria, Lazio, Lucania, Puglia e Calabria. La situazione dei detenuti, secondo i rapporti degli ispettori territoriali: “Le condizioni materiali dei detenuti peggiorò notevolmente e la sopravvivenza si basò essenzialmente sul mercato nero, esercitato generalmente dalla milizia fascista”. Altri furono quello di Fossoli in provincia di Modena, inaugurato il 5 dicembre del 1943 oppure e quello di Bolzano e della Risiera di San Sabba di Trieste.

Ed è proprio di quest’ultimo che parleremo. La Risiera (grande complesso di edifici per la pilatura del riso) venne costruita nel 1913 nel periferico quartiere di San Sabba; questo venne dapprima utilizzato dai nazisti come campo di prigionia provvisorio per militari italiani catturati dopo l’8 settembre del 1943, giorno in cui fu reso noto l’armistizio che venne firmato segretamente il 3 a Cassibile in Sicilia; poi, verso la fine dell’ottobre, venne strutturato come Polizeihaft Lager cioè come campo di detenzione di polizia, destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni sequestrati, sia alla detenzione di ostaggi, partigiani, detenuti politici, ebrei…

Il primo stanzone posto alla sinistra nel sottopassaggio era chiamato “cella della morte”. Qui venivano ammassati prigionieri trasportati dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati a morire. Secondo alcune testimonianze, spesso venivano a trovarsi assieme a cadaveri che dovevano poi essere cremati.

Al pianterreno dell’edificio a tre piani, si trovano i laboratori di sartoria e di calzoleria dove venivano impiegati i prigionieri, camerate per ufficiali e militari delle SS, 17 micro – celle destinate in particolare ai partigiani, ai politici e agli ebrei; queste ultime potevano contenere al massimo 6 detenuti, 2 di queste venivano usate ai fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato agli stessi prigionieri. Le porte e le pareti di queste anticamere della morte erano ricoperte di graffiti e scritte: l’occupazione dello stabilimento da parte degli Alleati, dopo l’8 settembre 1943, la successiva trasformazione del campo in raccolta di profughi, sia italiani che stranieri, la polvere, l’umidità e molte altre cause hanno fatto sparire la gran parte di questi tesori.

Nel secondo edificio a 4 piani venivano rinchiusi ebrei, prigionieri politici, militari, destinati alla deportazione in Germania per lo più a Dachau, Mauthausen ed Auschwitz… “Verso un tragico destino che pochi sono riusciti ad evitare”.

A favore dei cittadini imprigionati nella Risiera ed in particolare di ebrei coniugati con cattolici intervenne il Vescovo di Trieste, Mons. Santin che in alcuni casi ebbe successo. Nel cortile interno vi era l’edificio destinato alle eliminazioni con il forno crematorio unito da un canale sotterraneo alla ciminiera. Oggi, sull’impronta metallica della ciminiera sorge una costruzione in memoria della spirale di fumo che usciva dal camino.

Il forno, opera di Erwin Lambert fu collaudato il 4 aprile 1944, con l’inserimento di 70 ostaggi fucilati il giorno prima. L’edificio del forno e la ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai tedeschi in fuga, per eliminare le prove dei loro crimini.

Tra le macerie furono rinvenute ossa, ceneri umane gettate in mare tra le quali quelle delle 5000 circa persone sterminate e la mazza la cui fotografia è ora esposta nel Museo. Le esecuzioni usate probabilmente furono queste: gassazione in automezzi, fucilazioni, colpo di mazza alla nuca; ma non sempre la mazzata uccideva all’istante, per cui il forno cremò anche persone ancora in vita. Il fragore dei motori, musiche, latrati di cani…coprivano le grida ed i rumori delle esecuzioni.

Il fabbricato centrale di 6 piani era una finta caserma: al piano inferiore che ora è adattato a Museo, vi erano le cucine e la mensa, ai piani superiori c’erano le camerate per i militari tedeschi, ucraini ed italiani, questi ultimi impiegati per sorveglianza. Il casolare, oggi adibito al culto di tutte le religioni, serviva un tempo da garage per i mezzi delle SS; qui forse stazionavano i neri furgoni, con lo scarico collegato all’interno, usati probabilmente per gassare le vittime.

Il piccolo edificio, posto a sinistra e all’esterno, costituiva il corpo di guardia e l’abitazione del comandante, oggi è l’abitazione del custode. Le vittime in questo Lager italiano sono molte, circa 5000, ma la cifra è ben maggiore se si contano le persone prigioniere “di passaggio” verso altri campi o obbligate al lavoro che le distruggeva. I tedeschi bruciarono in questo campo alcuni dei migliori “quadri” antifascisti.

IL LITORALE ADRIATICO

Dopo l’Armistizio la Venezia Giulia cessò di far parte dello Stato italiano e diventò un territorio amministrato dal Reich.

Il governo del “Litorale Adriatico”, comprendente le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, venne affidato da Hitler al Gauleiter della C. F. Rainer, nazista austriaco che odiava l’Italia.

L’ “alto commissario” Rainer assunse tutti i poteri politici ed amministrativi ed in poco tempo fissò le fondamenta della sua illimitata sovranità sottoponendo prefetti e podestà al controllo di “consiglieri” tedeschi.

Così le formazioni della milizia fascista passarono alle dipendenze delle SS, ma non si trasformeranno, come nella neo Repubblica Sociale Italiana fondata da Mussolini sul Lago di Garda con sede a Salò, in Guardia Nazionale repubblicana, ma prenderanno il nome di “Milizia Difesa territoriale”.

Prima della Seconda Guerra Mondiale gli ebrei a Trieste erano 5000. Dopo le leggi razziali fasciste emanate nel 1938 da Mussolini, che vietavano agli ebrei di sposarsi con cittadini italiani “ariani”, di entrare a far parte del servizio militare e delle cariche pubbliche e limitavano l’esercizio di attività economica e libere professioni, i perseguitati decisero di emigrare all’estero.

I nazisti riuscirono a deportare nei campi di sterminio circa 700 ebrei. Di questi solo una ventina riuscì a sopravvivere. Il controllo poliziesco, la repressione politica, razziale ed antipartigiana vennero affidati alla supervisione delle SS il cui comandante, Odilo Lotario Globocnik era legato ad Himmler, il braccio destro di Hitler. Con Globocnik arrivarono anche molti professionisti che avevano fatto parte delle varie operazioni di sterminio in Germania e Polonia.

Pochi giorni dopo l’8 settembre arrivò a Trieste Christian Wirt che con alcuni suoi uomini aveva partecipato all’eliminazione di “malati inguaribili”.

Dopo la sua uccisione da parte dei partigiani gli subentrò August Dietrich Allers. La presenza di un tale “Staff”, eccezionale per responsabilità organizzative nella politica di sterminio europea nel “Litorale Adriatico” è giustificata dall’importanza che questo territorio aveva per il Reich. Il “Litorale Adriatico” fu l’ultima conquista europea dell’imperialismo nazista.

Trieste, l’Istria ed il Friuli costituivano una “cerniera” strategica fra il settore balcanico, il fronte italiano e la Germania meridionale.

IL PROCESSO

Il processo ai responsabili dei crimini commessi durante l’occupazione tedesca alla Risiera di San Sabba si è concluso a Trieste nell’aprile del 1976. Qui il banco degli imputati rimase vuoto: alcuni di essi erano stati giustiziati dai partigiani, altri deceduti per cause naturali.

August Dietrich Allers morì nel marzo del 1975, Oberhauser, il suo braccio destro, rimase a vendere birra a Monaco. Il processo si concluse con la condanna di Oberhauser all’ergastolo. Fu dunque inutile?

Al di là dell’impostazione fondata sulla distinzione tra “vittime innocenti” e “vittime non innocenti” resta il fatto che è scesa una coltre di silenzio per cui per oltre 30 anni non si è saputo niente del Lager di San Sabba.

IL MONUMENTO

L’architetto Romano Boico trasformò la Risiera nell’attuale Museo perché pensava che fosse squallida come l’interno periferico. Si è proposto di togliere e restituire, più che di aggiungere. Dopo aver eliminato gli edifici in rovina ha perimetrato il contesto con alte mura di cemento, articolate in modo da configurare un ingresso inquietante nello stesso luogo dell’ingresso esistente.

Il cortile cintato si identifica come una basilica laica a cielo aperto. L’edificio dei prigionieri è completamente svuotato, le 17 micro-celle e quella della morte sono rimaste inalterate. Nell’edificio centrale il Museo della Resistenza piccolo ma vivo e sopra di questo i vani per l’Associazione Deportati.

Nel cortile un terribile percorso in acciaio: l’impronta del forno, della base del camino e della ciminiera sulla quale sorge una simbolica pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino.

La Risiera di San Sabba fu solo uno dei numerosi campi italiani come il Borgo San Dalmazzo, Fossoli e Bolzano. Il primo era un campo provvisorio di raccolta.

Con l’8 settembre 1943 e la rittirata delle nostre truppe dai territori francesi occupati, alcuni reparti dislocati nel nizzardo, cercarono di ritornare in patria.

Al loro seguito si aggiunsero alcune famiglie ebraiche, costrette a “residenza forzata” in conseguenza delle misure razziali assunte dal governo collaborazionista di Vichy. Essi cercarono di sistemarsi nella zona di Borgo San Dalmazzo, la quale venne occupata dalle truppe naziste, il cui comando ordinò a tutti gli ebrei di presentarsi, il 18 settembre, alla caserma del capoluogo, pena la fucilazione per loro e per chi li avesse ospitati.

Il 21 novembre alcune famiglie ebree, che non riuscirono a fuggire, vennero deportate nel campo di sterminio di Auschwitz.

Fossoli era un campo di raccolta e di smistamento per il centro-nord. Già adibito a campo di internamento per prigionieri di guerra inglesi fino all’ armistizio, venne trasformato in campo di raccolta, per il successivo invio nei lager dei detenuti politici e razziali. La capienza è di oltre 5000 persone. La prima deportazione di ebrei avvenne il 22 febbraio per Buchenwald. Altre partenze il 5 aprile, il 16 maggio, il 26 giugno, l’ ultimo il 31 luglio 1944. Gli ebrei furono 2884. E’ ignoto il numero dei deportati politici, prigionieri di guerra partigiani, civili. Si sa solo che in prevalenza questi ultimi venivano inviati a Mauthausen e gli Ebrei ad Auschwitz.

Bolzano era un campo di smistamento in territorio annesso al III Reich. Situato in territorio incluso nella Germania di Hitler, il campo era già operativo ai tempi di Fossoli da cui provenivano gran parte dei detenuti. Formato da diversi capannoni viene considerato il luogo dove si esercitò con maggiore ferocia e sadismo l’operato delle SS tedesche-italiane.

BIBLIOGRAFIA:

da “Risiera di San Sabba, monumento nazionale” Comune di Trieste
Schede di “Nemo” (Carlo Polliotti).

 
Engles Profili 2010 - Pubblicazione a cura di Lykonos