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Campi di concentramento italiani 1940 PDF Stampa E-mail

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Il 4 settembre del 1940 Mussolini firma un decreto con cui vengono istituiti i primi 43 campi di internamento per cittadini di paesi nemici. In realtà in questi campi furono concentrate varie categorie di persone. Gli ebrei italiani colpiti dal provvedimento non furono internati in quanto ebrei (anche se i provvedimenti d’internamento sottolineano sempre l’appartenenza alla “razza ebraica” della persona in questione), ma in quanto antifascisti militanti o soggetti ritenuti “pericolosi nelle contingenze belliche”. Un’altra categoria è formata da stranieri sudditi di “paesi nemici”, ebrei e non, che si trovavano in Italia allo scoppio della guerra, (inglesi, francesi, ma anche cinesi, spagnoli e altri) nonché da quegli ebrei stranieri che erano fuggiti dalle persecuzioni in atto nei loro paesi, residenti in Italia o di passaggio. Per ebrei stranieri si intendono anche cittadini italiani ebrei, non nati in Italia. Numerosi fra gli internati furono anche gli zingari. Infine, c’erano gli antifascisti schedati (condannati dal Tribunale speciale, ex confinati, ex ammoniti, ecc.), antifascisti arbitrariamente trattenuti a fine pena e altri arrestati per manifestazioni sporadiche di antifascismo.

Secondo gli studi più recenti, nel giugno 1940, al momento dell’entrata in guerra, in Italia erano presenti poco meno di 4.000 ebrei ed apolidi passibili del provvedimento di internamento. Si trattava di tedeschi, austriaci, polacchi, cecoslovacchi ed apolidi (divenuti tali in seguito alla revoca della cittadinanza italiana) che, nell’estate del ‘40, costituirono nella quasi totalità il primo grosso contingente di internati ebraici nei campi di concentramento fascisti. Tra il 1941 ed il ‘42, sarebbe giunto il secondo contingente dalle zone ex-jugoslave appartenenti allo stato croato o annesse all’Italia, composto da circa 2.000 ebrei, prevalentemente slavi, e nel quale vanno inclusi anche i 500 naufraghi del “Pentcho”, battello fluviale partito da Bratislava nel maggio 1940 coll’improbabile proposito di raggiungere la Palestina ed incagliatosi, dopo sei mesi, nei pressi di Rodi.

Ma quanti furono i campi di concentramento in Italia? Renzo De Felice nel suo libro “Storia degli ebrei sotto il fascismo”, parla di circa 400 tra luoghi di confino e campi di internamento. Fabio Galluccio, nel suo saggio del 2002 “I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti” (NonLuoghi Editore), i lager in cui erano rinchiusi ebrei, dissidenti politici, stranieri, zingari e omosessuali, erano probabilmente quasi duecento, senza contare i luoghi di “semplice” confino. Non è stato ancora fatto un censimento attendibile. In ogni regione italiana vi era almeno un campo. Questi campi potevano essere gestiti da civili o militari e potevano essere misti o solo femminili, come il campo di Lanciano (Chieti). I campi di concentramento fascisti erano situati prevalentemente nelle provincie di Teramo (Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran Sasso, Nereto, Notaresco, Tortoreto, Tossicia), Macerata (Pollenza, Urbisaglia, Tolentino, Treia, Potriolo), Campobasso (Agnone, Boiano, Casacalenda, Isernia, Vinchiaturo), Chieti (Casoli, Istonio, Lama dei Peligni, Lanciano, Tollo) e Avellino (Ariano Irpino, Monteforte Irpino, Solofra). Gli altri campi si trovavano a Fabriano e Sassoferrato (Ancona), Civitella della China a Renicci Anghiari (Arezzo), Alberobello e Gioia del Colle (Bari), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Bagno, Ripoli e Montalbano (Firenze), Manfredonia e Tremiti (Foggia), Ponza e Ventotene (Latina), Pisticci (Matera), Lipari (Messina), Chiesanuova (Padova), Ustica (Palermo), Colfiorito (Perugia), Città Sant’Angelo (Pescara), Castel di Guido (Roma), Campagna (Salerno) e Cairo Montenotte (Savona).

I campi di concentramento erano situati in luoghi isolati e poco salubri, spesso in montagna dove l’inverno era rigido. Gli edifici adibiti a ospitare gli internati erano monasteri, ville requisite, fattorie, fabbriche dimesse, scuole, baracche, in un caso addirittura un cinema (Isernia) e un ex mattatoio (Manfredonia). In generale le condizioni di vita erano primitive e umilianti. Molti edifici presentavano una serie di problemi: freddo e umidità, mura pericolanti, pochissima luce, fornelli difettosi, finestre, pareti e tetti non isolati a sufficienza; a tutto ciò si aggiungeva il sovraffollamento, il vitto insufficiente e la presenza di cimici, pidocchi, ratti e scorpioni. L’assistenza sanitaria agli internati era prevista ma poteva essere concessa o rifiutata arbitrariamente, come avvenne nel caso di un’antifascista romana internata a Mercogliano (Avellino), malata di cuore, la cui domanda di sottoporsi a una radiografia toracica venne respinta dal Ministero dell’Interno.

I campi fascisti non erano dei lager ma unicamente dei campi di concentramento. Le condizioni di vita, già difficili e deprimenti per tutti, peggiorarono tuttavia ulteriormente con l’arrivo, nell’aprile del 1941, degli sloveni e croati rastrellati in seguito all’occupazione italiana della Jugoslavia. Sull’elenco Crowcass, compilato dagli alleati angloamericani nel 1944/45 figurano oltre trenta nominativi di persone – direttori o funzionari dei campi di concentramento fascisti – ricercate dalle autorità jugoslave per crimini di guerra. All’8 settembre del 1943 molti internati, in particolare gli sloveni e croati e gli ebrei stranieri, si trovavano ancora rinchiusi nei campi di concentramento e nelle località d’internamento, finendo così nelle mani dei nazisti che li deportarono in Germania o nei campi di sterminio in Polonia. Valga per tutti il caso di Davi Bivash di 54 anni, ebreo di origine greca internato a San Severino Marche (Macerata) e lì arrestato il 30 novembre 1943 da italiani. Il 5 aprile fu deportato dal campo di concentramento di Fossoli ad Auschwitz, da dove non è più tornato.

 
Engles Profili 2010 - Pubblicazione a cura di Lykonos