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Lettera di Margherita Clerici PDF Stampa E-mail

Lettera di Margherita Clerici (Anita Pusterla) a Stalin

16.11.2005, Bz1999 per Gulag

Compagno Stalin, dopo essermi rivolta inutilmente a tutti gli uffici possibili, mi sono decisa ad appellarmi a Voi con tutta la fiducia che ogni operaia del mondo pone nel Compagno Stalin.

Il 14 Febbraio u.s. venne arrestato in casa nostra il mio compagno: Paoletti Mario. L’ ordine di arresto portava il N. 3221. Da quel momento ogni giorno, ogni ora ho atteso invano il suo ritorno, e pure invano ho camminato di qua e di là per conoscere il motivo dell’arresto.

Compagno Stalin, in questo momento non è solo la moglie che Vi sottopone il caso del proprio marito, ma è soprattutto una vecchia militante che vi prega di prendere in considerazione la sorte di un altro vecchio militante.

Io ero comunista molto tempo prima di essere moglie e tale sono rimasta anche dopo pochi anni di vita comune col mio compagno per quanto a lui mi leghino molti anni di aspre lotte, di sacrifici e lunghe sofferenze. Pure se ci fosse stato qualcosa nella vita di Paoletti che potesse oggi farmi sospettare una sua colpevolezza anche minima nei confronti dell’Unione Sovietica e comunque in contrasto coi principi comunisti, per nulla al mondo mi sarei oggi occupata del suo destino, anzi sarei stata molto contenta che infine si sarebbe smascherato un nemico nascosto.

Ma come ammettere colpevole di boicottaggio, di diversione, di sabotaggio, o accusare di controrivoluzionario un individuo il quale nel suo paese ha speso gli anni più belli della sua vita contro il fascio e conobbe perciò la miseria, la persecuzione, le bastonature a sangue, lunghi anni di galera?

Non starò a raccontarvi la sua vita di militante comunista dal 1924 al 1933, anno in cui arrivammo nell’Unione Sovietica sfiniti tutti e due da lunghi anni di reclusione (Paoletti scontò 3 anni e io 6) perché sarebbe troppo lungo. Dirò soltanto che chi come noi ha contribuito alla formazione dei primi nuclei comunisti in un paese fascista come l’Italia, che ha lottato con tutte le proprie forze per la causa proletaria (e questo per lunghi anni), che ha visto cadere attorno a sé sotto i colpi della reazione amici, compagni, fratelli, e oggi ancora deve pensare ad aiutare da qui i parenti rimasti, perché non periscano di miseria, oh, questi non possono diventare dei nemici di classe perché “la lotta li ha forgiati, li ha temprati” come si tempra l’acciaio. In essi vi è accumulati troppo odio contro i propri carnefici, contro i boia della sua classe.

Nell’Unione Sovietica arrivammo: Paoletti nel giugno 1933 per via di Partito, io nell’agosto dello stesso anno attraverso la MOPR.

Egli era destinato studente alla Scuola Leninista Intemazionale e si dimostrò subito fra i migliori per capacità e disciplina, ma dopo pochi mesi si ammalò di malaria spondilite reumatica, malattia di cui soffre ancora oggi. I medici della scuola dichiararono che era meglio lasciasse gli studi per un lavoro manuale. Intanto ci era nata una bambina e fu con lei che nell’aprile 1935 venimmo ad abitare alla I° GPZ (Kaganovič). Si iniziò per noi un periodo alquanto difficile perché eravamo sprovvisti di tutto, ma lo superammo presto. Nonostante il lavoro al quale era addetto fosse nuovo per Paoletti, in breve ne divenne uno specialista e dopo pochi mesi fu brigadiere, poi stacanovista, master e in ultimo capogruppo. Egli non contava mai le ore di lavoro: le sue giornate erano in generale doppie perché lavorava sempre due turni, uno come lavoro normale, l’altro per studiare e perfezionare le riparazioni in modo da scartare il meno possibile e rendere il lavoro meno costoso. Paoletti si interessava molto alla razionalizzazione e faceva parte del gruppo razionalizzatori e inventori della fabbrica. Per la sua attività in questo campo fu anche parecchie volte premiato. Fu presidente della MOPR nel reparto e non so che altro ancora.

Lontano dall’officina era come un pesce fuor d’acqua; egli non si recava mai in alcun posto e l’unico suo svago era la piccola bimaba. Non aveva amici: raramente capitava da noi qualcuno. Come dubitare di un individuo che vive così? Eppure per averlo arrestato bisogna che vi sia qualcosa, che cosa? E se non fossero che calunnie?

In quest’ora grave in cui tutte le forze nemiche del proletariato si stringono per abbattere il paese del socialismo, molti sono i nemici e vario il loro lavoro; la più rigorosa sorveglianza è necessaria e doverosa, ma….è doveroso anche colpire soltanto i colpevoli e se mio marito è tale farò di tutto per dimenticare d’aver vissuto vicino ad un simile rettile velenoso; ma se egli è quale io penso oh, allora che mi venga presto restituito.

Non crediate che l’arresto del mio compagno mi faccia pensare di essere reietta e straniera anche in terra sovietica, il pensiero della quale ci spronava, nella lotta nei nostri paesi, e ci scaldava il cuore nelle gelide galere fasciste. Allora, molte volte, affranta dalla dura vita e dalle privazioni, oppressa dal dubbio di un momento, bastava che dicessi a me stessa che qui nella Russia dei Soviet l’avanguardia del proletariato mondiale veglia, perché la fiducia tornasse, ed oggi ancora mi ripeto che, nonostante l’ora difficile che sto attraversando, l’ultima parola non è ancora detta e l’aspetto da Voi, Compagno Stalin! Sì, da Voi l’attendo, perché non è possibile che lasciate condannare un operaio rivoluzionario se costui non è reo.

 
Engles Profili 2010 - Pubblicazione a cura di Lykonos